Focus su: “Goodbye Hotel” di Michael Bible

Focus Goodbye hotel Copertina

Il secondo romanzo di Michael Bible, suggerisce l’idea che il fine ultimo di ogni essere vivente, sia cercare di parare i colpi del destino cieco, del grande palcoscenico che è la vita, e provare a rimanere vivi… Ma è anche, molto sorprendentemente, la storia di due grandi tartarughe chiaroveggenti, di nome Lazarus e Little Lazarus.

«Dicono che due particelle possono avere un legame così forte da cambiare direzione nello stesso istante a un milione di chilometri di distanza. Una danza cosmica che supera il tempo e lo spazio. Non sono abbastanza intelligente da sapere se è vero. Ma mi piace pensare che ogni momento possa essere così intrecciato a un altro, legato per sempre, che il tempo e lo spazio perdono importanza».

Una struttura vagamente cubista, i cui piani si intersecano lasciando indovinare qualcosa di ciò a cui si sovrappongono, governa il quarto romanzo di Michael Bible, Goodbye Hotel,  seconda prova narrativa dello scrittore del North Carolina a venire acquisita al catalogo dalla Adelphi, dopo L’ultima cosa bella sulla faccia della terra. A raccontare, tra quelle pagine, era un ragazzo condannato a morte per avere provocato un incendio nella chiesa del quartiere, causando una strage: «La mia vita non finirà davvero a mezzanotte – annota – perché è già finita un milione di volte». Dalla sua cella, ricorda la relazione con i due amici del cuore come il rimedio reciproco contro la «noia mortale» assicurata dalla cittadina di Harmony, luogo che dove è ambientato anche Goodbye Hotel, i cui protagonisti sono, pure loro, degli adolescenti rinchiusi in orizzonti che vorrebbero forzare.

Più che la singolarità della voce, colpisce – di Michael Bible  – il suo controllo sull’afflato che investe i personaggi quando desiderano trascendere i loro limiti, a volte tradotto in brevi fugati di un lirismo espresso con elegante discrezione. Si possono tirare le fila della storia che abbiamo ora tra le mani acchiappando bandoli diversi, o adottando di volta in volta la prospettiva di uno dei protagonisti: il ragazzo di nome François, per esempio, che dalla sua stanza del Goodbye Hotel, sulla Quattordicesima strada di Manhattan,  racconta come andò a finire quel giorno di venticinque anni prima, quando la sua amica Eleanor montò in macchina e gli disse: «Voglio fare il salto della collina».

O si può scegliere di entrare nella testa della tartaruga di nome Lazarus, che compare a Harmony insieme a un vagabondo, il quale fingendosi muto indica nel rettile un essere chiaroveggente, e dalle sue presunte divinazioni ricava cospicui gruzzoli di denaro. Quello strano viandante, era, all’epoca, l’ultimo dei Seersucker, una sorta di setta il cui nome deriva dal «tessuto morbido, liso, delicato come pizzo» del vestito che, una volta finita la loro missione, si passano l’un l’altro raccomandandosi, senza mai proferire parola, la tutela di Lazarus.

Come anticipato dall’Ouverture del testo, che si apre sull’alba dell’universo, le possenti tartarughe compaiono ben prima dell’uomo e sono testimoni della sorte toccata ai deboli terrestri. Il tema della “vulnerabilità” umana tocca tutt’e quattro i movimenti di questa sorta di sinfonia, nei capitoli intitolati a Francois, e poi a Lazarus, e poi a Eleonor e a Little Lazarus – sinfonia? Bible scrive per variazioni e riempie il romanzo di musica, dal jazz al rap dei Wu-Tang Clan, dai fasti di Tin Pan Alley al karaoke, e se manca l’Iggy Pop del libro precedente, compare un personaggio che assomiglia a Paul McCartney nel 1970…


Goodbye Hotel
Michael Bible

C’è un posto, a New York, che chiamano Goodbye Hotel, perché è l’ultimo rifugio di chi, per ragioni diverse, si è allontanato dal mondo e nel mondo non vuole (o non può) più tornare. Lì, mentre una nevicata «ipnotica» cade sulla città, François siede davanti al fuoco, stappa una bottiglia di vino da quattro soldi e inizia a scrivere la sua storia. Vuole metterci a parte di un avvenimento capitato venticinque anni prima, ma soprattutto raccontarci quello che sarebbe potuto succedere e – forse – è successo davvero. Ha a disposizione solo «un pezzetto di verità», che certo non basta a colmare tutti i vuoti. La sua voce, carica di un’antica sofferenza, ci trasporta ancora una volta a Harmony, un’anonima cittadina del Sud degli Stati Uniti, dove ogni sera «si confonde con un milione di altre sere» e i giovani sono «destinati a perdersi» ma non smettono di desiderare «l’impossibile». Dove «non c’è differenza fra chi è amato e chi non lo è», perché «tutti si sentono soli, con addosso la maledizione di un vuoto americano che gli cresce dentro». Eppure, come sanno i lettori di L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, Harmony è anche un crocevia dove il destino dà appuntamento alle sue vittime ignare: in questo caso due ragazzi innamorati e un misterioso uomo con un completo di seersucker, che in una notte di fine estate si incontrano sotto lo sguardo benevolo e saggio di Lazarus, una tartaruga dai poteri chiaroveggenti, indimenticabile protagonista del romanzo. Perché nell’universo di Michael Bible il passato può facilmente diventare futuro e viceversa; come in un sogno di David Lynch, a una dimensione della realtà ne corrispondono infinite altre, parallele e comunicanti. Non ci resta quindi che abbandonarci al ruolo di testimoni involontari e accettare che la verità a volte risulti inaccessibile, protetta da un guscio di bugie e inganni simile a quello di una testuggine centenaria.


Nella stessa epoca in cui François racconta la sua storia, seduto alla scrivania del Goodbye Hotel, Eleanor, che lui credeva sparita, arriva in un innominato Hotel di Manhattan, dove i suoi l’hanno portata a distrarsi dalla depressione, e ruba nel bagno una piccola tartaruga, che chiamerà Little Lazarus, in nome di quella più grande, la cui strada anche lei aveva incrociato, quando viveva a Harmony. Eppure, poco prima, ci era stato detto che quella piccola tartaruga Eleanor l’aveva comprata in un negozio di Manhattan, sulla Quattordicesima strada… I piani si confondono, i confini dei ricordi sono mobili e insicuri.

Un quarto di secolo dopo «il salto della collina», Eleanor rivela di trovarsi su un’isola privata delle Seychelles insieme a un ometto pieno di soldi che la paga perché lei lo umili: un compito che assolve con un certo gusto. Nella stanza del resort dove si trova, torna col pensiero al primo incontro con François e poi via via alle tappe della loro breve relazione, e finalmente alla notte fatale, quando a seguito di ciò che accadde dopo «il salto della collina», François indossò a sua volta le vesti del seersucker, e lei corse via. E mentre correva si vide sull’isola tropicale alla quale sarebbe approdata, un quarto di secolo dopo, un’isola che presto sarebbe stata avvolta dalle fiamme, forse reali forse accese dalla sua fantasia. L’isola dove Lazarus l’avrebbe ritrovata.

A donare visionarietà a questa sequenza di piani incrociati non è la presenza delle tartarughe, né l’irreale tradizione dei seersucker, e nemmeno i salti nel futuro remoto. È, invece, la dissolvenza dei confini che Michael Bible sa far svaporare sulla pagina, passando dalla soffocante quotidianità di Harmony alle oniriche visioni dei suoi abitanti. E questo abbandonarsi ad altri orizzonti virtuali, rendendoli per qualche pagina più concreti di quelli reali, è un esercizio di evasione in cui Michael Bible è un maestro.

Lascia un commento

Lascia un commento