Focus su: “La stanza delle ombre” di Mirko Zilahy

Focus Stanza ombre mirko zilahy Copertina

L’amore per l’arte rende questo libro fluttuante tra il romanzo psicologico, il thriller, il noir e la tragedia, e questo arricchisce ulteriormente la cifra di un’opera singolare e ammaliante, in cui ogni particolare, ogni dettaglio ha una profonda elaborazione alle spalle.

«Perchè quaggiù la penombra è la prima regola».

Un’indagine in un archivio di maschere, sospiri e dedali psicologici, dove ogni dettaglio dipinge un ritratto — non sempre rassicurante — della verità. La stanza delle ombre di Mirko Zilahy, edito da Mondadori, è un thriller d’arte e inganni, pieno di suspense che non si basa su inseguimenti né su efferatezze gratuite. È quella che nasce dal conflitto tra verità e apparenza , che abita gli spazi sottili dell’anima e getta ombre su ogni gesto umano.

L’autore dimostra padronanza nell’evocare una Roma notturna, decadente, avvolta nel chiaroscuro del crimine violento, dove l’arte diventa veicolo di inganno e introspezione e le indagini un modo per riflettere sull’animo umano. Non si tratta di un noir ambientato nei vicoli sporchi: è un romanzo sensoriale, in cui l’arte e la scienza visiva entrano in risonanza con la tensione narrativa.

Ci sono scene di indagine fatte di dialoghi precisi e taglienti, momenti di introspezione e azione che accontenteranno il lettore che ama i romanzi bilanciati, ma anche vissuti interiori dei protagonisti, che non guastano mai. L’attenzione di Zilahy ai dettagli è come un pennello sporco, un riflesso, una posa che trasforma lo spettacolo del crimine in un’ indagine semiotica, in cui l’ipotesi si costruisce come un mosaico fatto di ombre, cicatrici e riverberi che ti faranno camminare in quella stessa Roma dove Zuliani, Nemo e Tiberi si muovono alla ricerca del falsario.

Questo libro non è un thriller qualsiasi: è un’indagine sull’arte e sull’inganno, su ciò che è detto e ciò che è taciuto. Lo scrittore romano vi trascina in una corsia di specchi e falsi riflessi, dove l’unico modo per sopravvivere è scegliere: guardare davvero, o continuare a far finta. Combina gli elementi del thriller investigativo e del romanzo d’arte con i dialoghi che riflettono competenza storica, senza però appesantire.


La stanza delle ombre
Mirko Zilahy

Tra le torbide acque del Tevere, ai piedi della basilica di San Paolo, viene ritrovato il cadavere di una donna, in posa come se fosse vittima di un misterioso rito. È allora che il commissario Zuliani convoca Nemo Sperati, giovane docente all’Accademia delle Belle Arti. Quando posa lo sguardo sulla scena del crimine, Nemo sprofonda nella Stanza delle Ombre, il teatro mentale dove è in grado di vedere l’invisibile, riconoscere la firma dell’autore e attribuire l’opera. Perché lui possiede un talento arcano per il tenebrismo, la tecnica di chiaroscuri con cui a partire da dipinti e da scene del crimine evoca particolari nascosti, anomalie impercettibili anche alle più sofisticate tecnologie di indagine. Nel corpo della “Dama delle acque”, il professore riconosce subito la celebre Ophelia di John Everett Millais – esattamente come due settimane prima aveva fatto con il cadavere del direttore di Palazzo Barberini, che riproduceva Giaele e Sisara di Artemisia Gentileschi, da poco rubato. Il caso si complica quando il quadro viene rinvenuto e Nemo scopre che non è autentico, ma opera di Rufo Speranza, il più grande falsario del Novecento morto suicida molti anni prima. E soprattutto… suo padre. È così che Miriam Tiberi, sanguigna ispettrice di polizia che affianca Zuliani, si ritrova sulla pista che conduce direttamente a lui. Per scagionarsi, Nemo dovrà scendere negli abissi del proprio passato, separare il vero dal falso e far luce sul mistero che ammanta la vita e la morte di Rufo Speranza.


Un romanzo ideale per chi ama la contaminazione — indagine, arte, psicologia — ma anche per chi cerca un thriller sofisticato. Una lettura che fa mettere il libro da parte solo quando tutto è svelato, o quando il caso, finalmente, mette giù la maschera.

In un’epoca in cui la verità è spesso deformata, nascosta o manipolata, “La stanza delle ombre” è un invito a guardare oltre, a scrutare nel buio e nel non detto, per capire che il vero mistero, a volte, non è fuori, ma dentro di noi. Un romanzo che non si legge soltanto: si contempla, si ascolta, si attraversa. E alla fine, ci lascia con una domanda tagliente come un bisturi: che cosa stiamo davvero vedendo, quando diciamo di vedere?

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