Un romanzo che dimostra che i destini individuali non sono isolati, ma si rispecchiano reciprocamente: per restare umani di fronte alle avversità, è fondamentale tendere la mano agli altri.
«Questo fanno i bambini alle persone. Le sincronizzano sul tempo dell’amore».
Con il libro “Tanta ancora vita” edito da Einaudi, Viola Ardone inaugura una svolta decisa nella sua produzione letteraria. Pur mantenendo l’eco dei temi che l’hanno affermata come una delle voci più significative della narrativa italiana contemporanea (come l’attenzione per le storie umane, la memoria e le dinamiche sociali), l’autrice compie un netto balzo in avanti verso l’attualità.
La sua nuova fase è caratterizzata da una coraggiosa e immediata immersione nel presente, concentrandosi su un tempo che ci interpella direttamente e drammaticamente: la guerra in Ucraina. L’Ardone abbandona, o affianca, le ricostruzioni storiche per affacciarsi con risolutezza sul qui e ora, dimostrando la volontà di confrontarsi con un evento contemporaneo di vasta portata.
Il romanzo intreccia sapientemente le vicende di tre personaggi distinti — tre storie, tre mondi differenti, ciascuno segnato dalle proprie difficoltà e dal proprio dolore. Eppure, è proprio nell’avversità che questi mondi finiscono per convergere, trovando la forza di una rinascita che è resa possibile esclusivamente dall’incontro con l’altro. In definitiva, l’opera si configura come un inno alla speranza.

Come già affrontato nel romanzo Treno dei bambini, la voce protagonista è quella di un bambino, Kostia, che si ritrova a essere adulto suo malgrado. Il padre lo mette su un treno con poche semplici indicazioni: lasciare l’Ucraina e raggiungere la nonna a Napoli. Tutto facile, no? Ma c’è qualche aspetto da non sottovalutare: l’Ucraina è in guerra, Kostia non ha documenti in regola e la babushka non l’ha mai vista. E alla fine di ciò, Napoli dov’è?
A far da contraltare a Kostia c’è Vita, madre devastata dal lutto e intrappolata nell’apatia, che ritrova un contatto con la realtà grazie a Irina, l’energica babushka ucraina che lavora come colf. Nonostante le loro differenze e il dolore comune (Vita per il figlio perduto, Irina per quello disperso in guerra), il destino le unisce, insieme a Kostia, in una nuova, inattesa famiglia.

Tanta ancora vita
Viola Ardone
«Questo fanno i bambini alle persone. Le sincronizzano sul tempo dell’amore». Una mattina Vita apre la porta di casa e trova, accoccolato sull’uscio, Kostya. Lui, che neppure parla la sua lingua, le cambierà l’esistenza. Perché ogni figlio nato sulla terra è il figlio di tutte, di tutti. Nei romanzi di Viola Ardone l’incontro fra esseri umani ha sempre la potenza di un miracolo, capace di scardinare la solitudine, di ricomporre la speranza. Kostya ha dieci anni quando si mette in viaggio per arrivare dalla nonna Irina, domestica a Napoli. Nello zaino, la foto di una madre mai conosciuta e un indirizzo. Suo padre è al fronte per difendere l’Ucraina appena invasa. Tra soldati che cercano di bloccarlo al confine e sconosciute che gli dànno una mano, il bambino riesce ad arrivare. Vita, la signora per cui la nonna lavora, lo scopre addormentato sullo zerbino. Quattro anni fa lei ha perso suo figlio e ora passa le giornate da sola, o con Irina, che ha letto Dante e parla italiano come un poeta del Duecento. Il piccolo ospite inatteso la costringe di nuovo in quel ruolo che il destino le ha tolto. Poi, quando il padre di Kostya è dato per disperso, Irina torna nel suo Paese a cercarlo. D’impulso, Vita decide di raggiungerla, per aiutarla. Tentare di salvare un altro, del resto, è l’unico modo per salvare noi stessi.
Viola Ardone trascende i temi complessi della guerra e della maternità, utilizzando la sua sensibilità per esplorare con delicatezza e precisione le sfumature del lutto e della depressione. Dimostra così una notevole padronanza stilistica: grazie a una prosa sobria e velata di sottile ironia, riesce ad evitare il rischio di scivolare nel melodramma, nonostante le premesse tragiche. Il risultato è un romanzo che si rivela, sorprendentemente, ottimista fino alle lacrime, celebrando la forza della resilienza e onorando pienamente il suo titolo.
Il cuore pulsante del libro risiede nella sua capacità di operare un essenziale spostamento dall’individualismo dell’io all’abbraccio del noi. Attraverso il percorso di Vita, che esce dal suo isolamento per accogliere le vite altrui, il romanzo dimostra che l’epica moderna non risiede nell’eroismo solitario, ma nella solidarietà che fiorisce anche nel pieno della guerra e del dolore.



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