Focus su: “Canto di Natale con autotune” di Marco Presta

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Una moderna, divertente, profonda e arguta rivisitazione del “Canto di Natale” di Dickens, secondo il quale «molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente».

«Non piaceva il Natale, al signor Scrocchia. In effetti, lo aborriva. Detestava la retorica dei buoni sentimenti, il felicismo frenetico, l’affratellamento generale sbrigativo e fasullo, l’«io ti do tu mi dai» della mezzanotte sotto l’albero».

«Il livello della mediocrità in Italia s’è abbassato. Non c’è piú quella bella pochezza di qualità di una volta», si lamenta Aurelio Scrocchia, discografico sovrappeso che si aggira per via Condotti con un cappotto di cashmere. Versione moderna del dickensiano Scrooge, Scrocchia è il protagonista di “Canto di Natale con autotune” il nuovo lavoro di Marco Presta, edito da Einaudi.

Scrocchia è un Grinch contemporaneo, che odia il Natale con una passione ricambiata. La sua avversione è totale: dalla retorica dei buoni sentimenti all’obbligo del “felicismo frenetico”, dall’affratellamento generale, sbrigativo e fasullo, fino alla transazione dell'”io ti do tu mi dai” scambiata a mezzanotte. E, se c’è qualcosa che detesta più di tutto, sono i bambini.

Il protagonista è un discografico privo di passione che ha difficoltà a far registrare il nuovo album a Salomè , il suo trapper di punta, il cui talento è sostenuto da sostanze artificiali. La sua visione cinica riduce l’industria discografica alla vendita di un “prodotto”, senza alcuna differenza rispetto al settore petrolchimico. Per aumentare il fatturato natalizio, Aurelio promuove Salomè in televisione, ma lui esige l’uso dell’autotune, che Scrocchia disprezza, considerandolo una “truffa rispettosa delle regole” volta a mascherare le incapacità.

Il Natale riapre vecchie ferite, costringendolo a confrontarsi con il ricordo della sua Nelly, amata quando la panza non c’era. Nonostante ciò mantiene la sua facciata di “villain” rifiutandosi di aiutare una cantante che afferma che il loro compito è “migliorare il mondo che ci circonda”. La solitudine incupisce profondamente Strocchia, ma l’orgoglio gli impedisce di cercare conforto, fino a quando un imprevisto rompe la sua auto-reclusione.

Trangugia accidentalmente l’alcaloide del trapper, innescando un viaggio onirico e allucinatorio dove tutto il mondo acquista una dimensione nuova: incontra persone strane, che forse sono allucinazioni, forse no, che lo trascinano in una metropolitana sognante, tra suonatori ambulanti e personaggi che lo interrogano, fino a portarlo al temuto passato. E – inevitabilmente – anche tutte le canzoni che aveva contribuito a lanciare tornano a tormentarlo, portandolo ad una ulteriore presa di coscienza.


Canto di Natale con autotune
Marco Presta

Cosa succede quando un autore come Marco Presta decide di scrivere il suo “Canto di Natale” con un occhio a Dickens e uno al nostro mondo? Che ne viene fuori un libro divertentissimo, umoristico nel senso più alto del termine. In una Roma abbagliata dalle luminarie natalizie e dai buoni sentimenti, un produttore discografico inaridito non smette un secondo di lavorare. Ma tra un incontro e l’altro con i suoi artisti arroganti e senza talento, questo Scrooge contemporaneo riesce persino a confondere la pastiglia della pressione con una ben più lisergica pilloletta. Ed ecco che intorno a lui cominciano a capitare cose strane… Aurelio Scrocchia, produttore musicale di mezza età, nei giorni prima di Natale si aggira cupo per il centro di Roma incontrando gli artisti della sua casa discografica e ragionando cinicamente sugli uomini e sulla vita. Intorno a lui, implacabile, la bontà a mano armata dei dannati dello shopping natalizio. Aurelio è un uomo di successo, disilluso e senza più obiettivi. Da ragazzo sognava di diventare un grande musicista, ora promuove cantanti che lo disgustano. Tra questi c’è Salomè, una giovane performer che si esibisce solo con l’autotune, il correttore vocale che permette a chiunque di stare davanti a un pubblico senza fare brutte figure. Salomè canterà “Adeste fideles” in uno show televisivo la notte della vigilia, e Scrocchia sta organizzando il grande evento. Ma accade qualcosa che spariglierà tutto. Al posto del solito farmaco per la pressione, Scrocchia trangugia per sbaglio un potentissimo alcaloide che gli è stato generosamente rifilato da un trapper della sua scuderia. In preda a buffe allucinazioni, sballottato da una visione improbabile all’altra, Aurelio si trova di fronte tre personaggi bizzarri, i proverbiali fantasmi di dickensiana memoria, che lo obbligheranno a ripensare alla propria esistenza e ai tanti errori commessi, a quello che voleva essere e a quello che invece è diventato. E come in ogni “Canto di Natale” che si rispetti, nel finale – che non riveleremmo nemmeno sotto tortura – c’è spazio persino per un po’ di speranza.


Nonostante si legga con il sorriso dall’inizio alla fine, “Canto di Natale con autotune” è ben lontano dall’essere solo un libro leggero: analogamente al suo illustre modello dickensiano, Presta costringe il protagonista a un doloroso confronto con le sue scelte di vita scriteriate. Il tema della redenzione personale è complesso e impegnativo, poiché ammettere i propri errori non è facile per nessuno.

Eppure, l’autore tratta questa introspezione con la sua inconfondibile ironia e leggerezza. Il lettore è accompagnato attraverso le pagine da una galleria di personaggi bizzarri, a tratti assurdi, ma sempre irresistibilmente divertenti e pieni di vitalità. Ne scaturisce una favola moderna che scalda il cuore e rinnova la speranza, ricordandoci che c’è sempre spazio per un cambiamento, persino per il più cinico degli Scrooge.

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