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“Tutte noi abbiamo un Mister Big” l’esordio di Oriana De Iulio
“Svegliarsi la mattina, soprattutto il lunedì mattina, è assolutamente ed inevitabilmente inquietante. Soprattutto quando guardandoti allo specchio scorgi un’altra ruga, la terza in pochi mesi” così inizia “Tutte noi abbiamo un Mister Big“ il romanzo d’esordio di Oriana De Iulio (011 Edizioni), finora nota solo ai più come giornalista e sceneggiatrice. Un romanzo intenso ma leggero che parla della protagonista Giulia Contini una giovane donna di trentadue anni, un’ antieroina, frutto dei nostri giorni. Una donna colma di dubbi, ansie, insicurezze che di giorno in giorno è costretta a destreggiarsi tra mille ostacoli nel complesso e competitivo mondo del lavoro.
Alla continua e incessante ricerca di una stabilità sperata, ma forse non poi così ardentemente desiderata, Giulia sembra essere per numerosi aspetti lo specchio della donna moderna: a tratti troppo indipendente, e poi troppo dipendente, prima troppo giovane, poi troppo vecchia, troppo preparata, troppo poco specializzata; esattamente l’incarnazione dell’inadeguatezza che caratterizza i nostri tempi così superficiali ma così esigenti, tempi di una società che sembra dirle continuamente cosa è giusto fare senza indicarle mai la strada.
La vita di Giulia si dipana tra amicizie di cui non potrebbe fare a meno, lavori fallimentari ma formativi e amori a targhe alterne. Un amore in particolare che lei chiama Mister Big, rifacendosi al Big di Carrie Bradshow in Sex and The City, l’altra metà della mela, l’indimenticabile Lorenzo, l’amore della sua vita. Dipendenze e co-dipendenze affettive, instabilità economica, insicurezze e delusioni che si accumulano nel tempo, coraggio e prese di posizioni, rendono i nostri protagonisti tanto reali quanto parte del vissuto di ognuno di noi sia nelle piccole che nelle grandi cose dando al manoscritto una caratteristica di universalità e trasversalità unita ad una scrittura semplice, ma mai semplicistica.
Un esordio interessante di una autrice da tenere d’occhio!
In un grande mondo: il primo romanzo di Alfredo Mercutello
A cura di Silvana Calcagno
La ricerca di se stessi e delle proprie origini, l’importanza degli affetti e della famiglia sono i temi al centro dell’interesse di Alfredo Mercutello, giovane salentino alla sua prima prova come scrittore di narrativa.
Tre uomini in cerca di se stessi, il tormentato rapporto padre–figlio, New York. Questi gli ingredienti principali del romanzo “In un grande mondo” di Alfredo Mercutello.
George, Fred e Tom sono giunti contemporaneamente a un punto di svolta nelle loro vite. Molto diversi tra loro, sono accomunati, però, da un percorso di ricerca che ha le sue radici nella volontà di sciogliere i nodi di un rapporto conflittuale con i propri padri e i propri figli.
George, anima raminga, paga lo scotto di un errore di gioventù che lo aveva portato ad abbandonare il figlio appena nato. Fred, il classico inseguitore del sogno americano, lascia la sua terra per fare fortuna e sentirsi libero da un ambiente limitato e da legami familiari soffocanti. Tom, dalla vita semplice, maestro di scuola in un’isola incastonata nel tempo, cerca suo padre senza rancori, con la sola speranza di colmare un vuoto emotivo ed esistenziale.
Lo sfondo di queste vicende — e forse quarta protagonista — è New York, simbolo del progresso moderno, la città globale per eccellenza, che accoglie i tre personaggi, li incanta e li sprona. La sua verticalità è il simbolo della spinta verso il cambiamento. Per le sue strade puoi trovare «genti delle più disparate etnie, tutte però con un’unica comune e inconfondibile caratteristica. Tutti con gli occhi all’insù», dice Tom. È proprio quel rivolgere gli occhi verso l’alto, verso il cielo, che diventa indicatore di una voglia di miglioramento, di distacco dalle limitanti briglie che noi stessi ci poniamo.
Il rapporto padre–figlio è stato da sempre al centro della letteratura di tutti i tempi. Oggi più che mai, nell’era della frammentazione massima dell’io, a causa d’internet e dei mass media che portano a creare innumerevoli immagini di sé, avere come punto di riferimento il proprio padre, poter vedere il proprio futuro in un figlio, è di vitale importanza. È ciò che Mercutello vuole comunicare con il suo libro: le radici, la famiglia, gli affetti, rimangono la cosa più importante anche nel nostro caotico secolo.
Sicuramente è un libro scritto col cuore, con probabili sfumature autobiografiche (si fanno accenni alla Puglia, regione natia dell’autore), anche se la psicologia dei personaggi, le loro vicende biografiche, le cause del malessere che li spingono alla ricerca, potevano essere esplorate più approfonditamente. Specialmente per chi vorrebbe capire più a fondo perché George abbia deciso di abbandonare suo figlio, perché il rapporto di Fred con il padre venga definito nell’introduzione “impossibile” e perché Tom si sia messo alla ricerca del padre proprio in quel particolare momento della sua vita.
Nonostante le esclamative e le interrogative frequenti che potrebbero stancare il lettore e la cura formale a volte carente, singolare è il linguaggio “parlato”, mimetico, dei personaggi, che innalzano il tono del loro discorso quando si spingono in riflessioni intime e personali.
In un grande mondo è un libro da leggere per chi vuole riflettere sui legami più significativi che ci caratterizzano, sulle salite e sulle discese della vita e sul fatto che «ogni cosa, ogni evento serve a qualcosa, siamo noi che dobbiamo interpretarlo».
Una “bella dentro” tira fuori i mille dubbi dell’universo femminile
“Io sono bella dentro – Un libro da leggere solo se pensi di avere la cellulite” è una vivace raccolta degli articoli pubblicati nel suo blog da Adriana Re. Un libro dove spesso la smorfia di contrarietà per i problemi quotidiani delle donne cede spazio al sorriso sdrammatizzante.
Io sono bella dentro è una raccolta edita da Kimerik di articoli scelti, tra quelli pubblicati nel suo blog, da Adriana Re, una giovane scrittrice siciliana. La “genesi” della pubblicazione costituisce al tempo stesso la forza e il limite del testo.
La “forza” perché si avverte la corrente d’empatia riguardo a problematiche minori, ma non marginali delle donne, una sorta di flusso di energia latente che attraversa le righe del libro.
Il “limite”, perché non si avverte uno sforzo di rielaborazione organica per ricondurre a unità un pensiero un po’ frammentato. La scrittrice è però un’attenta e critica osservatrice della realtà quotidiana, particolarmente interessata alla comprensione dei tanti “fantasmi” che si materializzano spesso dal nulla per tormentare le donne d’oggi. Colpa anche della tv e del martellamento mediatico che subisce quotidianamente l’Io femminile.
«La nostra è una società televisiva, sempre più attaccata all’immagine», osserva la Re, per poi rammaricarsi di come molte donne vivano questo tipo di condizionamento: «siamo così occupate a criticarci, scovarci difetti, che tralasciamo il nostro vero io, le nostre qualità, il nostro valore fisico e interiore». La Re non ha la pretesa di dare risposte alle problematiche trattate.
«Io sono bella dentro!» è invece un’asserzione perentoria, un dogma di fede che funge da “mantra” del libro intero. Ma questa è l’unica concessione “integralista” di una scrittrice dalle solide basi relativiste che la portano a sdrammatizzare tematiche che spesso divengono, invece, per molte donne un valido motivo per “avvelenare” la propria esistenza.
Se Io sono bella dentro! fosse un romanzo, potrebbe essere un racconto “minimalista”, in cui sarebbe assegnato al “contesto” il compito di definire i “significati”. La lettura a tratti diverte, grazie all’originalità e alla freschezza del linguaggio. Non mancano, tuttavia, impreviste e repentine “cadute” nell’ovvietà e nella ridondanza. La suggestiva metafora dell’autrice («la linea non è una retta, è più che altro una curva»), ben si addice anche al libro, piacevole nella lettura e lineare nella trattazione, nonostante qualche “sterzata” verso l’ovvio ne spezzi talvolta l’originalità e la freschezza. Proprio sul finire del libro, l’autrice ci svela comunque la giusta chiave di lettura per questa sua raccolta di pensieri, in tutta libertà: «Non siamo difettose! No…Ognuna di noi è bella a suo modo. Il nostro male si chiama insicurezza ». Centrato!
Dove eravate tutti: il romanzo sui vent´anni del Cavaliere
Antonio Tabucchi recensisce il nuovo romanzo di Paolo Di Paoli “Dove eravate tutti”.
E ne è entusiasta, sopratutto, per la capacità del giovane autore di raccontare il declino di un paese intero e di una generazione disillusa, ma che non rinuncia a trovare la propria strada. Nonostante la desolazione sociale e politica in cui versiamo oggi.
Il racconto è un “complesso disegno … una storia che fa da sinopia a un affresco composto di notizie di giornale, di fotografie, di lacerti di realtà politico-sociale, di mitemi attuali, di idioletti epocali, di ciò che costituisce non soltanto il sapore ma lo Zeitgeist dell´epoca nostra.” Antonio Tabucchi
“Il romanzo sui vent’anni del Cavaliere”
Recensione di Antonio Tabucchi
Mentre sento che in Italia, paese dell´eterno ritorno, si è ricominciato a piangere sull´imminente “morte del romanzo” che mezzo secolo fa costituì il tormentone della neo-avanguardia di allora, vedo con piacere che i giovani (e anche i meno giovani) scrittori italiani continuano a scrivere romanzi. O qualcosa che appartiene al genere che per convenzione definiamo “romanzo” e che naturalmente non ha niente a che vedere con la creatura di cui si piange la futura scomparsa, essendo costei defunta da tempo per cause naturali. Una modesta creatura il cui avvincente incipit (parlo per metafora) suonava all´incirca così: «La Marchesa uscì di casa alle cinque in punto».
Anche se il feuilleton di tipo ottocentesco basato sull´uscita della Marchesa continua ad occupare i banchi delle librerie e le sdraio degli stabilimenti balneari (ma questa è una legge dell´industria del consumo, che per fare un solo prodotto di qualità deve produrre almeno una tonnellata di scorie), coloro che oggi scrivono buona letteratura sanno che la Marchesa che uscì alle cinque non ha più fatto ritorno, ed è inutile stare ad aspettarla.
Ed è curioso notare come nonostante lo stantio ambiente culturale italiano, o forse proprio in reazione ad esso, la giovane letteratura italiana (intendo della generazione dei trentenni e dei quarantenni) sia una delle più nuove e vivaci d´Europa; una letteratura che se l´avessero i francesi e gli inglesi riuscirebbero a imporla nel mondo con la forza di una esportabilità linguistica che noi non abbiamo. Qualche tempo fa l´italiano era almeno una lingua di cultura; ora, dopo la sistematica distruzione della cultura, non è più neppure questo. E altro che signore marchese che uscirono di casa alle cinque: qui si tratta di un paese intero che vent´anni fa s´imbarcò su una nave da crociera verso lidi ignoti, facendo perdere le proprie tracce ai radar dei “politologi” e degli “statistici” che ancora la cercano invano.
‹‹Mi perdoni se entro nel campo personalissimo delle mie visioni, se non addirittura delle mie allucinazioni. Mi creda, mi è sembrato di averla davanti agli occhi: una nave da crociera. Il pensiero mi ha accompagnato fino a notte e non mi ha ancora lasciato: l´Italia, per vent´anni, è stata una nave da crociera. Non le pare? Con i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar. La vacanza dev´essere cominciata con una cosa che, per età, non riesco a ricordare per memoria diretta. Ne hanno mandati in onda alcuni passaggi l´altra sera. Si chiamava Colpo grosso, lo trasmettevano su Italia 7, gestione Fininvest››.
Con questa citazione, che è a p. 136, credo di aver toccato il cuore del romanzo di Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, appena uscito presso l´editore Feltrinelli (pagg. 224, euro 15).
Paolo Di Paolo è un giovanissimo (nato nel 1983), ma ha già al suo attivo una produzione saggistica e narrativa insolitamente folta per la sua età. E se non posso definire questo romanzo un esordio, esso è certo un felice ingresso in una narrativa impegnativa e matura, anche in virtù del complesso disegno con cui è costruito, con una storia che fa da sinopia a un affresco composto di notizie di giornale, di fotografie, di lacerti di realtà politico-sociale, di mitemi attuali, di idioletti epocali, di ciò che costituisce non soltanto il sapore ma lo Zeitgeist dell´epoca nostra.
L´autore appartiene a quella generazione che dall´infanzia a oggi in Italia non ha conosciuto altro che il sistema tolemaico di quell´imprenditore brianzolo proveniente da un´associazione eversiva che la stampa italiana, con un anglicismo fuori luogo definisce “il premier”. E che ha come “seconders” (a questo punto ci sta bene) boss mafiosi, corruttori di giudici, sub-agenti dei servizi segreti, giornalisti al soldo, sicari, cardinali, magnaccia e cocainomani. Un tipetto che di quella nave da crociera, dove dapprima faceva l´intrattenitore, è divenuto il capitano.
‹‹Saliti sulla nave da crociera, abbiamo preso il largo. Diretti dove? Era impossibile capirlo. Ma siamo rimasti a bordo per vent´anni. Le vacanze erano finite, veniva da piangere a tutti, come in una pubblicità. Però qualcuno deve aver detto che si poteva restare. Si poteva non scendere più. Lui avrebbe continuato a intrattenere, a sorridere, a cantare. Un giorno, quando sembrava che tutto sarebbe durato così per sempre, il Capo sarebbe sceso›› (p. 137).
Ecco per dove era partita la nave da crociera su cui si era imbarcata l´Italia: verso presunte ‹‹donne di sogno, banane e lamponi›› che l´intrattenitore, Joker di un fumetto scadente, aveva promesso a tutti, ma proprio a tutti, firmando un “contratto” televisivo seduto a una scrivania di ciliegio di fronte a un presentatore che fingeva di essere il notaio. Il ventennio berlusconiano, mascherato di pinzilacchere televisive, di bandane in ville cafone, di dittatori russi che venivano dall´amico in Sardegna con un incrociatore militare, di dittatori libici che venivano dall´amico a Roma con le loro amazzoni, di partouzes con minorenni – se tutto questo è sembrato uno spettacolo di circo o un brutto sogno, in realtà è successo davvero: è stata un´epoca truce e funebre che ha scavato gallerie oscure nelle coscienze degli italiani.
Ma il romanzo di Paolo Di Paolo non è tanto un romanzo sul regime di Berlusconi, quanto un romanzo sulla fine di un regime, sulla malinconia che lascia nell´animo di chi l´ha vissuto, sulla penombra (o oscurità) che abbiamo attraversato, sul desolato paesaggio del day after.
‹‹L´aria era cambiata. Sulla nave da crociera, le luci erano rimaste accese. E attivi i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar. Ma c´era come un senso di smarrimento. Un´ansia strana si sarebbe comunicata di passeggero in passeggero. L´equipaggio non era in grado di fornire alcuna indicazione. Le luci restavano accese, notte dopo notte. Ma i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar sembravano più tristi e cominciavano a svuotarsi. Le feste c´erano ancora, ma come svogliate. A muoversi – in modo scomposto e con le camicie sudate e le pance e i sorrisi un po´ ebeti – erano ormai quasi solo alcuni vecchi amici del Capo. I passeggeri, loro cominciavano ad annoiarsi›› (p. 137).
Ma il romanzo non è solo questo, ha anche una sua storia amaramente divertente che lo fa leggere con piacere, e che ovviamente non riassumo. (…)
BOOKTRAILER del romanzo “Dove eravate tutti” di Paolo Di Paoli
1001 libri da leggere assolutamente prima di morire: c’è anche la Mazzantini
Come sempre gli ultimi giorni dell’anno sono quelli in cui vengono pubblicate tutte le classifiche relative al meglio dell’anno in corso.
C’è un sito, invece, che pubblica un elenco di oltre 1000 libri che bisogna assolutamente leggere prima di morire.
Abbiamo dato uno sguardo.
L’italianissima Margaret Mazzantini è alla 44 esima posizione dei libri pubblicati negli anni 2000.
Con il romanzo “Non ti muovere” la Mazzantini si è assicurata un posto nell’Olimpo dei libri che possono dare un apporto significativo alla cultura di ognuno.
Tra gli altri autori da non perdere segnaliamo:
Haruki Murakami con il libro “After the dark” , “Il diavolo e la signorina Prym” di Paulo Cohelo, “L’uomo duplicato” di Jose Saramago, “Cavie” di Chick Palahniuk, “L’ignoranza” di Milan Kundera.
A più riprese vengono citati i libri di Philip Roth
Leggi la classifica completa dei 1001 libri da leggere prima di morire