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Aharon Appelfeld, la Shoa nella penna, nel cuore e nei romanzi

Buon 80° compleanno ad Aharon Appelfeld il famoso scrittore israeliano che nacque in Bucovina del Nord (16 febbraio 1932) e più esattamente a Žadova, adesso parte di Černivci, allora rumena, uno dei pochi fortunati sopravvissuti della Shoa in cui perse la madre e i nonni. Appelfeld scampò al massacro del campo di sterminio nazista in Transnistria (Romania) e si unì all’Armata Rossa lavorando come cuoco. Alla fine del conflitto mondiale, 1946, scelse di emigrare in Palestina, al tempo ancora sotto il mandato britannico e studiò laureandosi all’Università di Gerusalemme in letteratura, divenendo poi docente all’Università Ben Gurion del Negev.

Appelfeld nasce in una famiglia di classe medio alta, famiglia che si vedrà togliere dal nazionalsocialismo che gli uccise la madre e lo divise dal padre. All’età di soli nove anni, nel pieno dell’autunno rumeno, riuscì a fuggire nei boschi vicini al campo di sterminio e lì sopravvisse cibandosi di quel che trovava, acqua e frutta principalmente. Visse quei giorni terrorizzato da scene di crudeltà immane, come dei contadini all’inseguimento armato un bambino ebreo. Giorni che lo portarono a porsi le sue prime domande: “Cosa c’è di sbagliato in me? Perché mi vogliono uccidere? Ho forse un volto, un corpo, dei pensieri diversi? ” cercando una ragione al massacro.

Seppur biondo con gl’occhi azzurri e anche se parlava bene l’ucraino, Appelfeld non trovò chi volesse adottare un bimbo di dubbie origini, fu così adottato da dei criminali che nel tempo definì: “La mia seconda scuola”, che durò circa due anni, persone terribili capaci però di atti generosi. Appelfeld ricorda che il contatto con i criminali gli aveva fornito gli strumenti per capire gli esseri umani imparando i significati di: “generosità, odio, brutalità e tutti i sensi dell’essere umano”.

Appelfeld è senza dubbio, grazie alle sue storie e alla sua tecnica scrittoria, uno dei più importanti scrittori israeliani viventi. Nei suoi numerosi scritti affronta sempre in modo più o meno diretto il tema della Shoah e dell’Europa prima e durante la seconda guerra mondiale, libri che gli hanno permesso di ricevere diversi premi tra cui il Premio Israele, il Premio Mèdicis in Francia e il Premio Napoli in Italia.

Splendide le due opere:

Notte dopo notte un commovente romanzo che parla del protagonista Manfred e un gruppetto di amici, ebrei dell’Europa orientale sopravvissuti ai campi di sterminio col sogno di far rivivere la lingua yiddish, e con essa i loro cari, scomparsi nella Shoà. Una storia asciutta ma incantevole dove la vita scorre tra letture e canti, mostre, discussioni e lunghe notti insonni, durante le quali la tragedia passata riaffiora in confessioni e incubi.ù

Tutto ciò che ho amato che narra di amori difficili e amari, di tradimenti, gelosie e vendette, e delle ferite che lasciano nell’anima dei protagonisti. Il protagonista Paul è in bilico tra i genitori divorziati e costantemente angosciato dal timore di perderli, il padre pittore è un artista tormentato, sempre pronto a schierarsi contro ai demoni dell’ispirazione e agli antisemiti, mentre la madre gli insegna il gusto dell’amore e il dolore del tradimento. Il tutto in un’Europa degl’anni 30 dove l’antisemitismo sta montando mentre molti scelgono vanamente la conversione.

La prima rappresentazione di “L’importanza di chiamarsi Ernesto” Oscar Wilde

Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, scrittore, poeta e drammaturgo, meglio conosciuto come Oscar Wilde nasce a Dublino il 16 Ottobre 1854 Dublino. Un autore che ha ingannato molti con la sua scrittura a prima vista semplice e immediata, ma che in realtà era finemente ricercata e fervente cercatrice del bon mot, uno stile che poteva declinarsi sferzante se non a volte impertinente, Wilde cercava di scuotere il lettore e spingerlo a riflettere senza mai fornire facili soluzioni, raffinato e famoso il suo uso di paradossi e aforismi per i queli resto famoso.

Oscar Wilde ricevette la sua educazione in casa fino ai nove anni per poi andare a continuare gli studi alla Portora Royal School dal 1864 al 1871, seguendo il percorso del fratello maggiore, brillante studente nel 1874 accede al Trinity College di Dublino dove, per i suoi eccellenti studi sui lirici greci, vinse la Berkeley Gold Medal, la più alta onoreficenza per meriti scolastici della scuola.

Nel 1873 grazie all’eccellenza dei suoi studi gli venne riconosciuta una borsa di studio e nel 1874 ne vinse un’altra per la frequenza alle lezioni in materie classiche che ebbe modo di seguire al Magdalen College di Oxford. Gli anni trascorsi all’università di Oxford dove studiò con passione i classici greci vennero in seguito paragonati da Wilde ad un fiore rispetto al resto della sua vita.

Oggi 14 febbraio però è una ricorrenza particolare legata a questo autore che oggi a Londra al St James’s Theatre nel 1895 vedeva andare in scena la prima rappresentazione di L’importanza di chiamarsi Ernesto” (The Importance of Being Earnest) gioco sottile di parole “Earnest” = Onesto / Franco, una delle sue più famose opere, una commedia in tre atti. Un’opera, esilarante, incalzante, piena d’ironia ma contemporaneamente altisonante e maestosa.

Il tutto si svolge tra Londra e la campagna, tra Ernest e lo zio Jack, che però altri non sono che la medesima persona. La necessità che fa da sfondo all’opera è quella dell’evasione dai propri obblighi, situazione che chiamava in causa l’intera società Vittoriana e che nell’opera si può vedere incarnata in diversi personaggi,come Jack con la sua doppia vita o Algernon con l’assistenza verso un amico inesistente o come la giovane Cecily che vive nei suoi mondi di fantasia; chi invece si dimostra ligio ai propri doveri viene disegnato come pedante e piatto, come la signorina Prism. Tutto parte da una intricata serie di eventi che però andrà pian piano a sbrogliarsi, il tutto però condito da battute du eccezionale ilarità, ogni ordine o legge di moralità e di valori è capovolto ed infranto, nulla segue man mano la logica che lo spettatore o lettore si aspetta, tutto per mettere sotto la lente la necessità dell’apparire e non dell’essere di quella società, in quello che è lo scritto più attuale dell’autore!

Da segnalarsi le recentissime pubblicazioni di Newton & Compton: Manuale del perfetto impertinente. Aforismi, pensieri, paradossi, deliziee la raccoltaTutti i racconti. Ediz. integrali.

Simenon e le centinaia di romanzi tra Maigret e la ricerca d’espiazione

109 anni fa, in rue Léopold a Liegi, nasceva Georges Simenon. La data di nascita del creatore del commissario Maigret è da sempre un piccolo mistero: nato il venerdì 13 febbraio 1903, la madre superstiziosa lo registrò all’anagrafe locale come nato il 12 febbraio. Georges Joseph Christian Simenon, scrittore belga di lingua francese, autore di innumerevoli romanzi molti dei quali con protagonista il celeberrimo commissario della polizia francese Jules Maigret è uno dei più prolifici scrittori del XX secolo, capace di scrivere fino a ottanta pagine al giorno. Guardando i numeri della sua produzione letteraria ci si può rendere conto dell’enorme mole di scritti prodotti da questa instancabile e geniale penna: circa 450 tra romanzi e racconti brevi, 107 inchieste di Maigret, 117 romanzi psicologici, quasi 3000 tra articoli e reportage e molto altro ancora per l’incredibile cifra stimata di oltre 700 milioni di libri venduti, senza contare i quasi 200 film tratti o ispirati da sue opere se non sceneggiati dallo stesso.

Anche se la sua profica produzione letteraria tocca molti e diversi generi e sottogeneri letterari come il romanzo popolare, il romanzo d’appendice, financhè il noir e il romanzo psicologico, Simenon è noto oggi soprattutto per il commissario Maigret, protagonista di 107 tra racconti e romanzi polizieschi che hanno contribuito in maniera determinante alla fama e al successo dello scrittore. Simenon cominciò a muovere i primi passi da scrittore a sedici anni non ancora compiuti come giornalista a Liegi. Con l’arrivo degl’anni venti, si sposta a Parigi, centro dell’avanguardia europea del momento, dove diviene un prolifico autore di narrativa popolare. Negli anni trenta viene travolto dalla fama grazie al personaggio del commissario Maigret, i cui racconti e romanzi furono i primi a essere pubblicati con il suo vero nome; infatti Simenon fino ad allora aveva sempre usato decine di pseudonimi tra i quali il più ricorrente era Georges Sim. Da quel momento in poi la carriera di Simenon ebbe un accellerazione improvvisa e fino agli anni settanta, produsse un grandissimo numero di romanzi (gialli e non) che oggi ne fanno uno degli autori più tradotti e più letti del XX secolo. Il successo commerciale però non andò sempre di paripasso con il parere della critica letteraria, sempre stata indecisa riguardo una sua possibile classificazione, tanto che, anche se la produzione poliziesca sia solo una minor parte della sua produzione letterariaì, egli è ricordato per lo più come un prolifico autore di romanzi gialli.

Simenon è comunque oggi ricordato anche per il suo stile scrittorio scarno e asciutto, privo di qualsiasi finezza letteraria e caratterizzato dalla densità delle atmosfere disegnate. Un lavoro il suo che arriva dal “popolo nudo”, dall’uomo che traspare oltre le maschere sociali. Inoltre le sue opere di finzione sono spesso in realtà conduttrici autobiografiche di una vita privata instabile fatta di molte passioni e relazioni fugaci oltre ai due matrimoni, senza contare l’impellente bisogno di vagare tradotto in un cambio, nel corso della sua vita, di circa trentatré residenze tra Belgio, Francia, Canada, Stati Uniti e Svizzera.

Tra le molte opere segnaliamo La fuga del signor Monde: la storia di Norbert Monde che decide un giorno di scomparire, anzi “Probabilmente lo aveva sognato spesso, o ci aveva pensato così tanto che adesso aveva l’impressione di compiere gesti già compiuti” ma perché è accaduto proprio quel giorno? E se un giorno volesse tornare sui suoi passi?

Tra i molti romanzi con protagonista Maigret, Maigret e il fantasma: l’ispettore Lognon, soprannominato dai colleghi il Lagnoso e lo “Jellato” da Maigret, un collega che non è mai riuscito a ottenere neanche la più piccola promozione, è sempre raffreddato tutto l’anno e ha una moglie ipocondriaca e vessatoria; viene colpito da due colpi di pistola difronte a un palazzo di avenue Junot. Perchè proprio lui? E cosa andava a fare da un po’ di tempo in quel palazzo ogni sera?

Ultimo ma assolutamente non ultimo Senza via di scampo, ritenuto unanimente uno dei libri più belli dell’autore. Vladimir è un vero e proprio tuttofare, in ogni senso immaginabile e possibile. Si ubriaca con Jeanne “la vecchia” padrona della casa dove è ospite, va a letto con lei, ma si occupa anche della manutenzione della barca e della grande villa in piena Costa Azzurra. E’ un uomo amareggiato, avido, opportunista, falso e spregiudicato. Jeanne, la “vecchia”, la padrona di casa è un’alcolista becera che sfrutta continuamente il suo potere economico e tratta ospiti e servitù della casa con pari disprezzo oltre ad ignorare quasi completamente la figlia Hélène che pur di starle lontana vive in una barca ormeggiata poco distante dalla casa. Un storia incentrata sull’espiazione, il bisogno incontenibile, l’esigenza pressante e irrinunciabile che spingerà a gesti clamorosi Vladimir, gesti che saranno la sua rovina.

La poesia di Ungaretti tra armonia, misticismo e fratellanza

Era il 10 febbraio del 1888 e Giuseppe Ungaretti nasceva nella periferia di Alessandria d’Egitto, in realtà era già nato da due giorni ma venne denunciato all’anagrafe in ritardo e festeggiò sempre il suo compleanno il 10. I genitori erano originari di Lucca, il padre era un operaio allo scavo del Canale di Suez e la madre, Maria Lunardini gestiva un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera ‘École Suisse Jacot’.

L’amore verso la poesia nacque proprio durante il periodo scolastico alla ‘École Suisse Jacot’, passione che crebbe ulteriormente grazie alle amicizie strette nella città egiziana, così ricca di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla multietnicità intrinseca al luogo e al momento.

Negl’anni della gioventù si avvicina alla letteratura francese leggendo la rivista ‘Mercure de France’ e alla letteratura italiana grazie all’abbonamento a ‘La Voce’ facendo la conoscenza delle opere di grandi autori quali: Rimbaud, Leopardi, Nietzsche e Baudelaire. Noto lo scambio epistolare con Giuseppe Prezzolini, fondatore de ‘La Voce’. Nel 1906 fa la conoscenza di Enrico Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale fondò e condivise l’esperienza, spesso assieme ai fratelli Thuile, della “Baracca Rossa”, la soffitta di Pea che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti. Dopo aver lavorato per breve tempo come corrispondente commerciale si trasferì poi a Parigi per svolgere gli studi universitari.

A parigi viene a contatto con un ambiente artistico internazionale, conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, e analoga amicizia strinse anche con grandi attori dell’arte mondiale quali: Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. Invitati da Papini, Soffici e Palazzeschi iniziarono la loro collaborazione alla rivista Lacerba. Nel 1913 morì l’amico d’infanzia Sceab, suicida nell’albergo che condivideva con Ungaretti. Nel 1916, all’interno de “Il porto sepolto”, verrà pubblicata la poesia a lui dedicata, In memoria.  In Francia Ungaretti filtrò le precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, decise di partire volontario per la Grande Guerra.

Ungaretti rielabora e quasi stravolge il messaggio formale dei simbolisti, i versi spezzati e senza punteggiatura, coniugandolo con l’esperienza atroce del male e della morte nella guerra. La fraternità nel dolore si associa alla volontà di una nuova “armonia” con il mondo che culmina nella citata poesia Mattina (1917), o in Soldati. Lo spirito mistico-religioso, di cui sono pregne le sue opere, segnerà la svolta nella conversione in Sentimento del Tempo e nelle opere seguenti, dove l’attenzione stilistica al valore della parola, indica nei versi poetici l’unica possibilità di salvezza dell’uomo.

Si segnala la raccolta completa delle poesie Vita d’un uomo. Tutte le poesie

Il genio di Thomas Bernhard tra romanzi, malattia e nichilismo

Compirebbe oggi 81 anni, Thomas Bernhard, romanziere e drammaturgo austriaco, oltre che poeta e giornalista, ritenuto tra i massimi esponenti della letteratura contemporanea.

Una storia quantomai particolare, figlio di un amore fugace, non conoscerà mai il padre per l’espatrio della madre che lo partorirà in Olanda, mentre il padre trasferitosi in Germania morirà quando Thomas non aveva ancora compiuto 9 anni.

Nuovamente a Vienna, Thomas vive assieme alla madre dai nonni materni, in presenza del nonno scrittore Johannes Freumbichler, trascorrendo il periodo che lui stesso definirà paradisiaco. Thomas seguirà i nonni anche nel successivo spostamento dalla capitale Vienna a Seekirchen am Wallersee, piccola cittadina alle porte di Salisburgo, mentre la madre si trattiene a Vienna per lavoro e intraprendendo una relazione presto conclusa con il matrimonio con Emil Fabian, apprendista parucchiere ed attivista dell’organizzazione clandestina del Partito Comunista Austriaco già frequentata dal fratello di lei Farald.

Il nuovo padre lascia molto presto Vienna per Traunstein, una città bavarese appena aldilà delle alpi, dove entro poco giungeranno anche Thomas, la madre e i nonni. Thomas comincerà la carriera scolastica già a quattro anni sotto spinta del nonno che lo volle introdotto alla musica e all’arte, esperienza, quella scolastica, traumatica perchè si sente discriminato in quanto austriaco. Anche per il nonno Johannes la permanenza nella Germania del Nazismo è altrettanto soffocante e conduce ad un blocco creativo che impedisce la chiusura di una seconda opera dopo il successo del primo e unico romanzo “Philomena Hellenhub”, valso l’attribuzione del “Premio nazionale austriaco per la Letteratura”.

Thomas sarà urtato così fortemente dalla situazione da costringere la madre a consegnarlo ad un istituto di rieducazione in Turingia. Thomas Bernhard descriverà questi anni come gli anni di una subita educazione al rigore, al nazismo, contatto peraltro diretto dopo l’ammissione nel 1943 al Convitto Nazionalsocialista di Salisburgo. Solo il segno lasciato dal nonno gli avrebbe impedito di seguire i continui propositi di suicidio.

Finita la guerra, torna nuovamente a Salisburgo, dove il convitto nazionalsocialista è diventato convitto cattolico. Per quanto visto e vissuto non avrà pietà quando negli anni Settanta racconterà la realtà dell’Austria e degli austriaci.

Spesso criticato in patria come “esterofilo”, per usare un eufemismo, data la sua visione critica dell’Austria, Bernhard ebbe grande fortuna all’estero. La sua produzione è fortemente influenzata dalla sensazione di solitudine (provata soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza) e dal suo male incurabile, che gli fece vedere la morte come ultima essenza dell’esistere. Le sue opere sono spesso lunghi monologhi sulla situazione del mondo e su come esso influisca sulla vita quotidiana, opere, dove lo spettatore è considerato come l’altra parte di un dialogo.

Si ricordano grandi successi di altissima levatura come:

  • Perturbamento l’opera che fece conoscere l’autore al grande pubblico è considerata dalla critica la sua più inquietante e nichilista. Un giovane universitario che segue il padre medico di campagna, nelle sue molteplici visite, scenario idilliaco campestre presto frantumato contro quello del dolore: ogni malato che i due visitano soffre di un qualche orrendo male attraverso il quale il dottore intende esporre il figlio, un idealista studente di scienza e razionale, all’ubiquità della malattia, della brutalità, della morte.
  • Mirabile poi la raccolta edita da Adelphi sotto il titolo di Autobiografia di: “L’origine”, “La cantina”, “Il respiro”, “Il freddo”, “Un bambino”; i cinque libri autobiografici pubblicati da Bernhard fra il 1975 e il 1982.
  • Al limite boschivo, di cui trl’altro è stata da poco pubblicata la ristampa edita da Guanda. Tre racconti – Kulterer, L’Italiano e Al limite boschivo – che “fotografano l’unica follia senza scampo, quella della razionalità”.

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